Depressione
- Carlo Passoni
- 27 set 2024
- Tempo di lettura: 9 min
Aggiornamento: 1 ott 2024
La depressione è un disturbo dell’umore che tocca profondamente come ci sentiamo, pensiamo e gestiamo le attività quotidiane. È come camminare sotto un cielo sempre grigio, dove la pioggia sembra non fermarsi mai, oscurando la luce e rendendo difficile vedere la bellezza del mondo intorno a noi. Non si tratta solo di sentirsi tristi o giù di morale per qualche giorno; è qualcosa di più intenso e persistente, che influisce sulla capacità di funzionare e di provare piacere nella vita.
Le cause della depressione sono complesse e multifattoriali, una combinazione di genetica, biochimica, ambientale e psicologica. Alcune persone potrebbero essere più predisposte geneticamente, il che significa che la depressione può “correre” in famiglia.
I cambiamenti nei trasmettitori cerebrali, sostanze chimiche che trasmettono segnali nel cervello, giocano anche un ruolo significativo. Fattori ambientali come eventi di vita stressanti, perdite, relazioni problematiche o condizioni di vita difficili possono scatenare la depressione, specialmente in chi ha già una predisposizione. Inoltre, determinate strutture della personalità o modelli di pensiero negativi possono aumentare la vulnerabilità alla depressione.

I sintomi della depressione variano notevolmente, ma includono comunemente un senso persistente di tristezza, vuoto e disperazione. Le persone possono perdere interesse e piacere nelle attività che una volta amavano.
I problemi di sonno sono comuni; alcune persone possono dormire troppo, mentre altre faticano a dormire. Cambiamenti nell’appetito possono portare a perdita o aumento di peso significativi.
La depressione colpisce anche il modo in cui le persone si sentono su se stesse, spesso portando a una bassa autostima o sentimenti di inutilità e colpa eccessiva. Ci può essere un senso di stanchezza costante, mancanza di energia, o un rallentamento fisico e mentale. La concentrazione diventa difficile, prendere decisioni sembra un’impresa, e ciò può influire significativamente sul lavoro o sulla scuola.
In alcuni casi, la depressione si intensifica fino a pensieri di morte o suicidio, un segnale allarmante che richiede immediata attenzione e supporto. Irritabilità e ritiro sociale possono diventare evidenti, allontanando le persone proprio quando avrebbero più bisogno di connessione e supporto.
Immagina di portare un pesante zaino pieno di pietre, giorno dopo giorno, senza la possibilità di posarlo. Anche le piccole attività quotidiane possono sembrare opprimenti. La gioia si attenua in un mondo che sembra visto attraverso una lente grigia. La speranza si fa elusiva, e la fatica di portare questo peso può far sentire come se non ci fosse via d’uscita. La depressione inghiotte il presente e oscura il futuro, rendendo difficile immaginare che le cose possano migliorare.
Tristezza, Malumore o Depressione?
La tristezza è una reazione emotiva naturale a situazioni di vita difficili o dolorose, come la perdita di un lavoro, la fine di una relazione o altri eventi sfortunati. È temporanea, proporzionata all’evento scatenante e non impedisce a lungo termine di svolgere le attività quotidiane.
Anche il malumore è un sentimento di insoddisfazione o irritabilità che può venire e andare, spesso influenzato da stress, stanchezza o frustrazioni del momento.
Entrambi sono parti normali dell’esperienza umana, che non compromettono significativamente la capacità di una persona di funzionare nella vita di tutti i giorni.
La patologia depressiva, d’altra parte, è qualcosa di molto più complesso e debilitante.
È caratterizzata da una serie di sintomi che includono una profonda tristezza, perdita di interesse o piacere nelle attività, cambiamenti significativi nel peso o nell’appetito, disturbi del sonno, stanchezza o perdita di energia, sentimenti di inutilità o colpa eccessiva, difficoltà di concentrazione, e pensieri di morte o suicidio.
Questi sintomi sono persistenti, tipicamente durano per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno, per almeno due settimane.
La depressione patologica altera significativamente la capacità dell’individuo di funzionare a lavoro, a scuola o nelle relazioni sociali e familiari, portando a una sofferenza significativa o a un deterioramento in aree importanti della vita.
”Immagina la differenza tra un giorno nuvoloso, che può portare una sensazione di malinconia ma lascia intravedere la possibilità che il sole possa tornare, e un lungo inverno senza fine, dove il freddo penetra fino alle ossa e il sole sembra scomparso per sempre. La tristezza e il malumore sono come quel giorno nuvoloso: temporanei, con la speranza che le cose miglioreranno. La depressione patologica, invece, è quel lungo inverno: una condizione che sembra schiacciare ogni speranza, rendendo difficile ricordare come sia il calore del sole sulla pelle o persino credere che tornerà.”
Mentre è normale provare tristezza o malumore in risposta alle sfide della vita, quando questi sentimenti diventano così intensi o prolungati da interferire con la capacità di vivere pienamente, potrebbe essere il momento di cercare supporto.
La depressione patologica non è semplicemente una condizione da “superare” con la volontà (come spesso si vuol far credere); è una condizione medica che richiede comprensione, trattamento e supporto.
Nella depressione, le alterazioni neurobiologiche sono evidenti a più livelli, includendo squilibri chimici, cambiamenti strutturali e funzionali nelle aree cerebrali, nonché modificazioni nel comportamento dei neuroni.
Queste modifiche si traducono in un impatto significativo non solo sul funzionamento cerebrale ma anche su quello di vari organi e sistemi corporei, a causa della stretta interconnessione tra il cervello e il resto del corpo.
A livello chimico, la depressione è associata a disfunzioni nel sistema dei neurotrasmettitori, con particolare riguardo per la serotonina, la noradrenalina e la dopamina.
Questi squilibri influenzano direttamente l’umore, i livelli di energia, la capacità di provare piacere, il sonno, l’appetito e la concentrazione.
Ad esempio, una ridotta disponibilità di serotonina e noradrenalina è stata collegata a sintomi depressivi, mentre alterazioni nel sistema dopaminergico possono contribuire all’anedonia (perdita della gratificazione, incapacità di provare piacere) e alla ridotta motivazione.
Studi di neuroimaging hanno documentato cambiamenti strutturali in diverse aree cerebrali nei pazienti con depressione. Questi includono:
Riduzione del volume dell’ippocampo, correlata alla durata e alla severità della depressione, che può influenzare la memoria e l’elaborazione emotiva.
Alterata attività della corteccia prefrontale, implicata nella regolazione delle emozioni, nel processo decisionale e nella funzione esecutiva. Questa regione mostra spesso una ridotta attività nei pazienti depressi.
Amigdala, responsabile dell’elaborazione delle emozioni, mostra una reattività aumentata agli stimoli emotivi negativi nella depressione.
I neuroni possono mostrare alterazioni nella neuroplasticità — la capacità del cervello di modellare e adattare le connessioni neurali in risposta all’esperienza.
Nella depressione, si osserva una ridotta neurogenesi (formazione di nuovi neuroni) nell’ippocampo, che può essere parzialmente responsabile dei sintomi cognitivi e emotivi del disturbo.
Gli squilibri nei neurotrasmettitori e i cambiamenti nelle aree cerebrali hanno anche un impatto oltre il cervello.
La depressione è stata collegata a un rischio maggiore di malattie cardiovascolari, diabete, e un sistema immunitario compromesso, sottolineando come il disagio psicologico possa tradursi in vulnerabilità fisica.
Questo è in parte dovuto all’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA), che regola la risposta allo stress e può essere iperattivato nella depressione, portando a livelli elevati di cortisolo, con effetti negativi su vari sistemi corporei.
Durante la depressione, il corpo può emanare livelli elevati di cortisolo, l’ormone dello stress, che è stato associato a una serie di effetti negativi, come la riduzione della neurogenesi e l’infiammazione.
Volete ridere rimanendo stupiti? Ma sapete che certe volte ce la cerchiamo?
La complessità delle emozioni umane ci porta talvolta a trovare conforto in stati d’animo che logicamente potrebbero sembrare indesiderabili, come la tristezza o la commiserazione di sé. Questo fenomeno, che può sembrare controintuitivo, ha radici profonde nella nostra psiche e nella nostra biologia emotiva, soprattutto quando esploriamo il contesto della depressione.
Nella tristezza, e in particolare nella depressione, può esserci un paradosso di “piacere nel dolore”.
Questo non significa che le persone desiderino attivamente soffrire o cercare situazioni che rafforzino la loro tristezza (quella è ‘naltra roba), ma piuttosto che ci può essere una componente di conforto nell’esperienza della tristezza stessa.
Questo può derivare da vari fattori psicologici ed emotivi.
Prima di tutto, la tristezza e la commiserazione di sé possono servire come meccanismi di validazione interna.
Quando ci si sente tristi e ci si immerge in quelle emozioni, ci si sta in qualche modo concedendo il permesso di riconoscere e accettare il proprio dolore.
Questo processo può essere inconsciamente gratificante, poiché valida la nostra esperienza interna, facendoci sentire compresi, anche se solo da noi stessi.
Inoltre, esiste una dimensione sociale nella quale esprimere tristezza o malinconia può portare a ricevere supporto, attenzione e cura da parte degli altri.
Questo rinforzo positivo, anche se nato da uno stato negativo, può creare un ciclo in cui la tristezza diventa inconsciamente desiderabile per le risposte empatiche che evoca negli altri.
La depressione, tuttavia, complica questo aspetto poiché può anche portare all’isolamento e alla sensazione che gli altri non possano veramente comprendere o alleviare il dolore interiore.
La commiserazione di sé può anche funzionare come un meccanismo di difesa, proteggendoci da aspettative esterne. In uno stato di tristezza o depressione, le aspettative su di noi possono diminuire, sia quelle che percepiamo dagli altri sia quelle che ci imponiamo.
Questa riduzione delle aspettative può offrire un senso di sollievo dalla pressione, anche se è una soluzione temporanea e non risolve le cause sottostanti del nostro dolore.
Riflessione: il processo di commiserazione di sé può stimolare una forma di introspezione che, sebbene dolorosa, fornisce anche un’opportunità per l'auto-esplorazione e maturazione emotiva.
Reputo doverosa e legittima l’introspezione, anche se con a volte una conseguente malinconia derivata, però occhio a non finire nel vortice.
Perché possiamo rimanere dipendenti dalla soddisfazione di crescere personalmente tramite introspezione dolorosa, che poi diverrà non più remunerativa come agli inizi, ma sarà solo autrice della depressione e del circolo vizioso di auto-sabotarsi.
Dal punto di vista neurobiologico, il “piacere nel dolore” può essere parzialmente spiegato dalla sovrapposizione nei circuiti cerebrali che elaborano sia il piacere che il dolore. Studi hanno mostrato che alcune aree del cervello, come il nucleo accumbens e l’amigdala, sono coinvolte sia nella risposta al piacere che a quella al dolore. Queste aree cerebrali sono regolate da neurotrasmettitori come la dopamina e la serotonina, che giocano ruoli cruciali nell’umore e nella motivazione.
Dopamina: Sebbene tradizionalmente associata al piacere e alla ricompensa, la dopamina è anche implicata nella risposta al dolore. La complessità del sistema dopaminergico significa che può essere attivato in risposta a stimoli sia positivi che negativi, fornendo una sorta di “ricompensa” neurochimica anche in contesti di dolore o pensiero negativo. Questo può spiegare perché alcune persone possono trovare un’insolita soddisfazione in attività o pensieri che sono superficialmente dolorosi o negativi.
Serotonina: Anche i livelli di serotonina, implicati nella regolazione dell’umore, possono influenzare come percepiamo dolore e piacere. Sebbene un basso livello di serotonina sia comunemente associato alla depressione, la sua funzione è estremamente complessa e non limitata alla promozione del benessere. In alcuni contesti, il sistema serotoninergico può contribuire a regolare come rispondiamo emotivamente al dolore, influenzando la nostra esperienza del “piacere nel dolore”.
Psicologicamente, il “piacere nel dolore” può essere interpretato come un meccanismo di adattamento che permette alle persone di trovare un senso di controllo o significato in situazioni altrimenti insopportabili.
Il dolore o il pensiero negativo possono diventare familiari, e questa familiarità può offrire un conforto strano ma reale.
Quindi occhio che magari ve la cercate pure ;)
Maaaa… soluzioni a tutto ciò? Ne abbiamo?
Bah, soluzioni garanti e fisse no. Ci possono essere degli approcci. In questo caso sicuramente non mi sostituisco ad un professionista, ma posso condividere dei pattern/schemi mentali/ domande da porsi, per magari prenderne consapevolezza… perché sì, per me la consapevolezza è l’arma più forte contro tutto:” la consapevolezza è libertà”.
Premetto che io odio i motivatori e le frasi già fatte (luoghi comuni annessi), ma qui dovrò citarne alcuni, poiché realmente utili:
Esercizio fisico: che vi piaccia o no, serve. La ricerca ha dimostrato che l’attività fisica regolare può essere altrettanto efficace quanto gli antidepressivi in alcuni casi di depressione lieve-moderata. L’esercizio stimola la liberazione di endorfine, spesso chiamate ormoni della felicità, che possono migliorare l’umore e ridurre lo stress (oltre che distrarti e stancarti, migliorando anche la qualità del sonno).
Cercate di mantenervi socialmente attivi, nella realtà dal vivo se possibile, ma se proprio siete impossibilitati, anche online, ma cercate di avere delle relazioni con umani.
Mantenere contatto minimo giornaliero con l’esterno: la casa può essere una zona di conforto, ma non fa bene stare tutto il giorno a casa. Il contatto con la natura e l’ambiente esterno stimola il nostro cervello a rilasciare determinate sostanze utili al nostro cervello. Se notate abbiamo un mindset differente se siamo in un ambiente agiato come la casa rispetto che fuori. Le passeggiate sono molto utili, piuttosto mettetevi delle cuffie con la musica o audiolibro.
Citando Eckhart Tolle, “Chiediti: ‘Qual è il problema in questo momento?’ Non domani, o tra un’ora, ma esattamente ora. Cosa ti manca esattamente ora? Cosa non va esattamente ora? Puoi sempre affrontare l’istante presente, ma non potrai mai affrontare il futuro – né hai bisogno di farlo. La risposta, la forza, l’azione giusta o la risorsa saranno disponibili quando ne avrai bisogno, non prima, né dopo.” Questa frase sottolinea l’importanza di concentrarsi sul momento presente e di mettere da parte le preoccupazioni per il futuro o il rimpianto per il passato, suggerendo che la maggior parte delle nostre preoccupazioni sono proiettate su ciò che potrebbe accadere piuttosto che su ciò che sta effettivamente accadendo ora. Vivere nel “qui e ora” permette di affrontare la vita un momento per volta, riducendo ansia e stress.
pet-therapy: inutile dire quanto gli animali possano renderci felici e di quanto amore possano darci.
Basta focalizzarsi sui problemi (non porta da nessuna parte), focalizzati sulle soluzioni.
Morire tanto dobbiamo morire, prima o poi accadrà, non siamo immortali. Magari potrebbe accadere anche domani inaspettatamente. Quindi finché non arriva la tua ora in maniera naturale, cerca di goderti quello che hai e quello che puoi fare in questa UNICA occasione che hai, ripeto non abbiamo niente da perdere, abbiamo una data di scadenza e siamo già destinati a morire. Vivi da qui, non ne usciamo. Perciò goditela
Trattati come tratteresti un tuo amico nella tua medesima situazione. Scommetto che non saresti così pessimista, ma saresti più indulgente e ottimista, motivando sul fatto che “tutto passa prima o poi”, e incentivare al prendere coraggio, rialzarsi e ricominciare, senza paura.
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