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Diritto all'Amore

  • Immagine del redattore: Carlo Passoni
    Carlo Passoni
  • 29 set 2024
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 3 ott 2024

Dov’è l’amore che ci era stato promesso? Quello che ci hanno raccontato nelle favole, descritto come un potere magico in grado di trasformare tutto? Dov’è quella gioia infinita che i genitori fanno balenare davanti agli occhi dei figli, o quella storia che dovrebbe dare senso alla nostra esistenza, come nei film? La verità è che non esiste. Non è mai esistito.


C’è una realtà amara che tutti prima o poi dovrebbero affrontare: non esiste alcun diritto all’amore per gli adulti. I bambini, sì, loro sì che hanno il diritto di essere amati. I genitori hanno il dovere di amarli, è una sorta di contratto implicito alla nascita. Ma per gli adulti, non c’è nulla di scritto. Nessuno ha l’obbligo di amare un altro adulto. Eppure, viviamo in questa illusione collettiva che, ad un certo punto, l’amore ci sia dovuto, che esista una qualche forma di "diritto all’amore" che ci verrà riconosciuto.



Diritto all'Amore


Essere amati non è un diritto, ma una fortuna. E quando succede, non è perché lo meritiamo o perché ci è dovuto, ma perché è capitato. E se capita, dovremmo essere abbastanza intelligenti da capirlo e tenercelo stretto, perché non c’è nulla di garantito in questa realtà.

Ci facciamo trascinare dalla convinzione che, ad un certo punto, l’amore debba arrivare, come se fosse una ricompensa per essere sopravvissuti, per averci creduto.


Ci piace pensare che l’amore sia spontaneo e disinteressato, ma quante relazioni si basano su un tacito scambio di benefici? Attenzioni, Sicurezza, stabilità, status sociale. Non è questione di cinismo... è la realtà. L’amore viene trattato come una transazione: ti dò questo, ma solo se tu mi dai quello. E se uno dei due smette di "dare", l’amore vacilla, e il mito del "per sempre" crolla.


L'amore a volte, è narcisismo travestito. Molti cercano l’amore per sentirsi completi, validati... ma non con la controparte, ma con la proiezione ideale di sé stessi. Vogliamo qualcuno che ci faccia sentire speciali, desiderabili, necessari. E se quella persona smette di alimentare il nostro ego, siamo pronti a buttarla via, alla ricerca di un nuovo specchio.


Il "vero amore", quello che dovrebbe salvarci, è una costruzione che ci viene venduta da film, libri, e persino dalle aziende che sanno bene come sfruttare la nostra sete di emozioni. Ci dicono che senza quell'amore, siamo incompleti. Ma, forse, siamo solo consumatori di un prodotto che non esiste davvero. Un po’ come la felicità che ci promettono nelle pubblicità: sempre lì, alla portata di mano, ma mai veramente raggiungibile. Un inganno del marketing.


Alla fine, la ricerca dell'amore potrebbe essere solo un modo per sfuggire alla paura di restare soli, di dover affrontare la propria esistenza senza un’ancora emotiva. Cerchiamo qualcuno che riempia quel vuoto, non sapendo che quel vuoto esiste indipendentemente dall'altro. L’amore non è una cura; è, nella migliore delle ipotesi, un palliativo temporaneo. La solitudine, quella profonda, non può essere sradicata da nessuno.


C’è questa convinzione radicata che l’amore porti automaticamente alla felicità, ma quante persone innamorate conosciamo che sono infelici, frustrate, o persino distrutte? L'amore può diventare una gabbia, un veleno che, se mal gestito, ci porta a sacrificare la nostra identità e la nostra libertà. Forse, il vero problema non è trovare l’amore, ma capire se siamo davvero pronti ad accettarlo per quello che è: imperfetto, imprevedibile, e lontano dalle idealizzazioni con cui siamo cresciuti. L’amore non è qui per salvarci né per darci ciò che crediamo ci manchi. Alla fine, è solo uno specchio dei nostri limiti e delle nostre vulnerabilità. E la vera sfida non è tanto cercarlo disperatamente, ma avere il coraggio di vivere senza, accettando che l’amore, come la felicità, non è una destinazione garantita, ma un lusso che, se arriva, deve essere visto per quello che è: un dono raro, non un diritto.


Ma poi, perché nessuno ci insegna che l'innamoramento e l'amore sono due fasi completamente diverse? Psicologicamente, l'innamoramento è la botta iniziale che scatena una tempesta di ormoni e sentimenti, con tanto di idealizzazione (vedendo l'altro come perfetto, magico, il centro del proprio universo). Ma quella fase, per quanto elettrizzante ed intensa, è destinata a finire. E quando succede, molti pensano che l'amore sia finito. Ma è proprio lì che inizia.

L’amore, è quello che viene dopo l'infatuazione, quando gli ormoni si calmano, e devi affrontare la realtà di una persona imperfetta davanti a te.

Già psicologi come Erich Fromm l'avevan intuito: "la confusione nasce proprio dall'iniziale esperienza di 'innamorarsi', che viene erroneamente confusa con lo stato permanente di 'essere innamorati'."


Quindi, si può amare una persona non essendone più innamorati, e viceversa, ci si può innamorare di una persona non essendone però in grado di amarla.


Citando Immanuel Casto: "spesso i film e le fiabe, raccontano storie di grand'innamoramenti, che si concludono prima che inizi l'amore"


Ci si innamora continuamente, ma non si ama quasi mai. La società ci vende l’innamoramento come se fosse la fase permanente dell’amore. Ci viene detto che, se non provi più quella passione iniziale, allora il rapporto è finito, è sbagliato. Ma la verità, nuda e cruda, è che l’innamoramento è solo il preludio. L'amore, richiede sacrificio, fatica e una dose non indifferente di realismo. Ed è per questo che così pochi lo raggiungono: è troppo scomodo, troppo lontano dalla narrazione romantica che ci è stata venduta fin da piccoli.


Siamo nel mezzo di una crisi d'affetto mondiale. L'amore, come una moneta che circola troppo, ha perso il suo valore intrinseco. Nell’era delle infinite opzioni, dove puoi avere tutto e subito, l’essere umano si comporta come un ingordo, afferrando tutto ciò che può senza mai fermarsi a riflettere sul reale valore di ciò che ha tra le mani. Il risultato? Un’inflazione emotiva, dove l'amore è diventato qualcosa che consumiamo, più che sentiamo.


Viviamo in un’epoca in cui il benessere reale è dato per scontato, e quindi, cosa ci resta da fare se non speculare su tutto ciò che ci sembra ancora prezioso? Speculiamo sulla libertà, sull'amore, persino sulla felicità e sulla tristezza, perché tutto deve diventare merce di scambio, oggetto di desiderio. Invece di riconoscere il vero valore delle cose, le usiamo per alimentare una continua insoddisfazione.

L’essere umano, incapace di trovare sazietà nei propri desideri, si spinge sempre più oltre, senza neppure rendersene conto. Vuole tutto, vuole di più, perché il costante desiderio di provare qualcosa di diverso è diventato la norma. La stabilità, l’equilibrio, sono troppo noiosi per il nostro sistema emotivo ormai disabituato alla costanza. E allora, che facciamo? Accogliamo la serenità solo con l’idea che, prima o poi, debba essere spezzata da qualcosa di nuovo, di diverso.


Ci piacciono le variabili, ci piace l’inatteso, perché nell’epoca della sicurezza materiale, è la sorpresa che ci tiene vivi. Non sappiamo più cosa significhi nutrire un sentimento profondo e duraturo; ciò che ci intriga è il brivido del cambiamento, l'adrenalina che solo l’incertezza può darci. La verità nuda e cruda è che non siamo più in grado di mantenere un legame stabile, perché il nostro sistema emotivo è diventato dipendente dall’imprevisto, da quel brio che ci ricorda che siamo ancora capaci di sentire qualcosa di forte, anche se solo per un attimo.


E così, invece di coltivare profondità, preferiamo raccogliere frammenti, saltando da una variabile all'altra, perché la costanza, quella vera, ci terrorizza.


So che questa visione è pessimista, e che ovviamente ci sono ben altri lati da cogliere, che in passato (in libri e articoli) ho già espresso. Ma nel mezzo di questa profonda notte, mi gira così.

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  • Il mio ateismo alcune volte propone ragionamenti provocatori  su tematiche religiose, in caso voi siate credenti, leggetele solo come ‘provocazioni’ benefiche e non come  “accuse”.

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