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Specchio-riflesso

  • Immagine del redattore: Carlo Passoni
    Carlo Passoni
  • 20 set 2024
  • Tempo di lettura: 7 min

Aggiornamento: 1 ott 2024

La vicenda narra di un uomo, Eco,  segnato da una maledizione: nessun riflesso riesce a mostrare il suo vero aspetto. 

Ma la sua incomprensione andava ben oltre a ciò: era impossibilitato a determinare se fosse bello o brutto, incapace di percepire la propria attrattività fisica. Non riusciva a sapere se altri lo trovassero simpatico o antipatico, lasciando in dubbio il suo impatto emotivo sugli altri. Era insicuro delle sue capacità, trovandosi spesso a domandarsi se fosse competente o inadeguato nelle sue attività quotidiane. Dubitava delle sue passioni, lottando per identificare ciò che lo entusiasmava veramente rispetto a ciò che pensava di amare. Incapace di discernere se le sue azioni fossero motivate da altruismo o egoismo. Era incerto sulle sue relazioni, non sapendo mai se gli affetti che riceveva fossero genuini o condizionati. Aveva paura di non essere abbastanza forte per affrontare le sfide della vita. 



Specchio-riflesso


Ossessionato dall’idea di capire come appare agli altri, egli chiede costantemente alle persone di descriverlo, ma scopre che ogni descrizione varia sensibilmente, dipingendo ogni volta un ritratto diverso di lui. Incapace di afferrare un’immagine chiara e definita di sé stesso, al di là di qualche banale dettaglio fisico, l’uomo è tormentato dal desiderio disperato di sapere come realmente appare agli occhi altrui.

La sua giornata iniziava e terminava con la stessa routine: avvicinarsi agli abitanti del villaggio, implorandoli di descriverlo, sperando di ricavarne un mosaico della propria figura. Ma ogni voce raccontava una verità differente, ogni parola dipingeva un ritratto unico, nessuno dei quali rispecchiava l’immagine che Eco desiderava ardentemente possedere.

Man mano che Eco chiedeva agli altri di definirlo, la sua percezione del proprio riflesso sfumava sempre di più, fino al momento in cui sparì del tutto. Davanti a lui, nello specchio, ora c’era solo il vuoto, il nulla. Tutti lo vedevano, ma lui non riusciva a vedersi, a sentirsi, a percepirsi, né a immaginarsi. La sua mente cominciava a vacillare sotto il peso di questa assenza.


Cosa succede, allora, a un uomo che perde il proprio riflesso? Che non può più specchiarsi?

Caro Diario, 

Ogni giorno mi interrogo: "se non posso vedere il mio stesso volto, esisto veramente? La mia presenza in questo mondo è tangibile o sono solo un’ombra sfuggente?"

Senza un’immagine riflessa, mi sento come se stessi perdendo il contatto con la realtà. I sensi, su cui ho sempre contato, ora mi sembrano traditori. La mia voce è un’eco lontana, i miei passi rimbombano come se non fossero i miei, il calore del mio corpo mi appare estraneo, i pensieri vagano senza trovare riposo, e il mio respiro… a volte mi chiedo se è davvero il mio. Sono circondato da questa inquietante sensazione di essere soltanto un’illusione. Mi chiedo, se in questo isolamento forzato,  la mia essenza stia lentamente svanendo.


Mi sento oppresso da queste riflessioni, soffocato da dubbi che non riesco a scacciare. Non mi sento molto bene, vado a fare una passeggiata.


Eco esce di casa per una passeggiata, cercando di placare l’ansia che lo attanaglia e, forse,  trovare qualcuno capace di rivelargli chi sia realmente. Si dirige verso il lungomare, dove l’aria fresca  sembra promettere un po’ di pace. Lungo il cammino, nota una figura solitaria seduta su una panchina, rivolta verso l’orizzonte.

 

Si avvicina cautamente. L’uomo, un anziano cieco, sembra osservare il mare con un’intensità tale che Eco si chiede se in qualche maniera possa davvero vederlo, o se ne stesse solo assaporando l’essenza con i sensi rimasti. Il vecchio, con il volto segnato dalle rughe e i capelli scompigliati dal vento, sembra completamente assorto nella sua contemplazione, come se potesse godere del panorama nonostante la sua cecità.

 

Eco, incuriosito, gli chiese: << Cosa stai facendo qui, davanti a questo spettacolo che non puoi vedere? Non ti sembra di perdere tempo?

Mi scuso se sembro invadente. È solo che… è difficile immaginare come tu possa ‘vedere’ senza vedere. >>

 

Il vecchio rispose serenamente, senza voltarsi: << Shhh… Lasciami sognare. Anche se i miei occhi non vedono, posso ancora sentire il fruscio del vento che accarezza le foglie, respirare l’odore salino della brezza marina e sentire il tepore del sole che scende all’orizzonte. Lasciami immaginare. >>

 

Eco, con un tono di scetticismo leggermente provocatorio, rispose: << Ma se non puoi vedere tutto questo, come puoi essere sicuro che sia reale? Non è forse solo un’illusione che ti consoli? >>

 

Il vecchio sorrise, percependo la sfida nelle parole di Eco:

<< E tu, giovane, sei sicuro di ciò che vedi con i tuoi occhi? Non sono forse anche le tue certezze modellate dalle aspettative e dalle esperienze passate, quindi predittivamente illusorie? >>

 

<< No, le poche certezze che ho sono vere poiché le vedo >> replicò Eco leggermente stizzito.

 

<< Il punto non è cosa è vero in senso assoluto, >> rispose il vecchio, << ma cosa diventa vero per noi attraverso i nostri sensi. Per me, la realtà è ciò che sento, che odoro, che tocco.>>

 

Eco scosse la testa, ancora dubbioso. << Ma senza la vista, non ti manca una parte fondamentale del quadro? Come puoi fidarti solo di quello che senti? >>

 

<< La vista è solo uno dei sensi, non l’unico interprete della realtà, >> spiegò il vecchio, con voce calma ma ferma.

<< Spesso, chi vede si affida troppo agli occhi, trascurando gli altri segnali che il mondo ci offre.>>

 

Eco rifletté sulle parole del vecchio, ma il suo scetticismo persisteva. << Forse, >> disse lentamente, << ma per me, vedere è credere. Non riesco a immaginare come potresti percepire tutto questo senza vedere. >>

 

Il vecchio, percependo il persistente scetticismo di Eco, decise di approfondire ulteriormente: << Considera, per esempio, un musicista che suona in un’orchestra. Non vede ogni singolo strumento mentre suona, ma ascolta, sente l’armonia o il disaccordo, e questo guida la sua esecuzione. Non è forse questo un modo di ‘vedere’ attraverso il suono? >>

 

Eco rifletté un attimo. << È un’interessante analogia, ma non sono ancora convinto. La musica è diversa; è un’arte che nasce per essere ascoltata. >>

 

<< Vero, >> concordò il vecchio, << ma non pensi che anche la realtà possa essere un’arte che si può ‘ascoltare’, ‘sentire’, ‘toccare’? Ogni senso apre una porta ad una stanza diversa della stessa casa. >>

 

<< Ma la visione ci dà il contesto, ci permette di legare insieme queste esperienze sensoriali in una comprensione olistica >> ribatté Eco.

 

Il vecchio annuì. << Sì, e non nego il valore della vista. Ma ti sfido a pensare oltre. Le persone vedenti spesso trascurano gli altri sensi, assumendo che la vista offra la storia completa. La mia esperienza è differente, ma non meno valida. Io ‘vedo’ il mondo in modo diverso, e questo non lo rende meno reale. >>

 

<< Suppongo, >> disse Eco, un po’ più aperto ma ancora non completamente persuaso,

<< che ci sia una sorta di bellezza nel percepire il mondo come fai tu. Sembra quasi che tu abbia accesso a un paesaggio con una sinfonia di sensazioni che io, con la mia dipendenza visiva, ignoro. >>

 

<< Esattamente, >> sorrise il vecchio. << E ogni persona, vedente o meno, ha il proprio paesaggio unico. Il trucco è imparare a valorizzare quello che possiamo percepire, anziché rimpiangere quello che non possiamo. >>

 

Colpito dalla risposta, Eco si scusò: << Capisco, mi spiace per la mia arroganza. Come ti chiami? >>

 

Il vecchio sorrise, riflettendo un momento: << Non lo so, non ho mai voluto darmi un nome, o forse non ho mai accettato quello che gli altri hanno scelto per me. Cosa ti porta qui giovine? >>

 

Eco si aprì con esitazione: << Non riesco a vedermi. Speravo di trovare qualcuno che potesse osservarmi per descrivermi. >>

 

Il vecchio annuì saggiamente prima di rispondere: << Figlio mio, non necessitiamo degli occhi altrui o dei nostri per conoscere noi stessi. >>

 

Eco, intrigato, rispose: << Ma senza uno specchio, come posso sapere chi sono veramente? Come posso riconoscermi? >>

 

Il vecchio guardò verso il suono della voce di Eco, con un sorriso lieve ma significativo sulle sue labbra. << Giovane, il più grande specchio che possediamo non è fatto di vetro, né si trova in un bagno o in una sala. È il modo in cui viviamo la nostra vita. Siamo definiti dalle scelte che facciamo, dall’impatto che lasciamo sulle vite altrui, e dalle passioni che ardentemente perseguono i battiti del nostro cuore. Questi sono i veri specchi nei quali puoi rifletterti. >>

 

<< Ma come posso essere sicuro delle mie scelte se non riesco a vedere chi sono? >> chiese Eco, con la voce carica di una crescente disperazione.

 

Il vecchio rispose con tono calmo e rassicurante: << Le tue azioni, le tue passioni, le tue interazioni: queste sono le vere immagini di te stesso. Non devi ‘vedere’ queste cose con gli occhi per comprenderle. Le senti, le vivi, le esprimi. Ecco come ti conosci. >>

 

Eco rimase in silenzio per un momento, ponderando le parole del vecchio. Lentamente, cominciava a capire: la ricerca ossessiva di una immagine riflessa o descrittiva, era un tremendo errore.

 

<< Quindi, >> disse Eco, assimilando a fatica ma con crescente chiarezza il concetto appena rivelato, << il vero specchio, è laddove non ci si rispecchia. Non è nelle superfici riflettenti o nelle immagini esterne, ma dove le nostre azioni, pensieri e sentimenti si manifestano lasciando un’impronta? >>

 

<< Quasi, >> replicò il vecchio, con la sua voce bassa e riflessiva. << Quando smetti di cercare riflessi là dove ti aspetti di vederli, inizi a comprendere che ciò che sei emerge in modi meno tangibili e più significativi. Non è il guardare dentro o fuori, ma il riconoscere come esisti negli spazi tra un pensiero e l’altro, tra un’azione e il suo eco nel tempo. >>

 

Terminata la conversazione, il ragazzo tornò a casa e senza ricercarlo consapevolmente si intravide in uno dei tanti specchi. Ora aveva un riflesso con una forma. Lo guardò, si mise a ridere con leggera serenità e lo ruppe. Non perché non gli piacque, ma perché non ne aveva più bisogno. 


Morale della favola?

Lasciarsi rappresentare da un’identificazione fittizia, sia essa esterna o interna, non è ciò che veramente conta. Ciò che importa è l’essere consapevoli della propria fluidità e mutabilità intrinseca. Non siamo un’entità fissa; siamo contemporaneamente tutto e niente. La nostra essenza si distende tra l’infinito e il vuoto, abbracciando una gamma di possibilità che sfida ogni definizione statica. Siamo un continuo divenire, tanto colmi di potenzialità quanto di vuoto, un mosaico di esperienze che ci definiscono nel momento, ma che sono destinate a trasformarsi con noi.

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  • Il mio ateismo alcune volte propone ragionamenti provocatori  su tematiche religiose, in caso voi siate credenti, leggetele solo come ‘provocazioni’ benefiche e non come  “accuse”.

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